Morale della favola: L'inganno distrugge l'amicizia. La storia ci insegna a essere cauti e a non fidarci ciecamente delle promesse degli altri.
Gatto e topo in societÃ
Fratelli Grimm
Le favole dei fratelli Jacob Ludwig Karl Grimm e Wilhelm Karl Grimm, rappresentano un modo costruttivo per insegnare ai più piccoli il giusto comportamento e le buone abitudini, soprattutto a quei bambini che sono nel loro periodo formativo e hanno bisogno di essere educati con buoni valori che li renda idonei alla vita di società e alla famiglia.La favola del gatto e del topo che costituiscono una società , è rivolta a chiunque desideri leggere ai propri figli una storia contenente una lezione morale. In questa fiaba, due animali, che per antonomasia sono nemici, decidono di vivere insieme e condividere la stessa casa. Tuttavia, il gatto ha ben altri piani e, per soddisfare la sua ingordigia, ingannerà il topo.
Questo è un riassunto liberamente tratto dalla favola "Gatto e topo in società " dei fratelli Grimm.
C'era una volta un gatto che fece amicizia con un topo. Gli giurò così tanto affetto che il topolino accettò di vivere con lui.
"Dobbiamo riempire la dispensa per l'inverno altrimenti moriremo la fame", disse il gatto. "Tu, però, non puoi andare da nessuna parte, perché piccolo come sei, potresti cadere in qualche trappola."
Seguendo quel consiglio, i due nuovi amici comprarono un vasetto di strutto. Ma dove conservarlo? Dopo averci pensato, il gatto disse: "Secondo me, la chiesa è il posto migliore. Lo nasconderemo sotto l'altare, dove nessuno oserà rubarlo."
E così fecero, con la promessa di dividerlo più in là in parti uguali. Ma non passò molto tempo che il gatto sentì una voglia matta del lardo e disse al topo: "Una mia cugina mi ha chiesto di fare da padrino a suo figlio. Ne ha appena avuto uno piccolo dal pelo bianco con macchie scure. Lo devo portare a battezzare in chiesa. Perciò, prenditi cura della casa mentre sono via. Se ricevo qualcosa di buono, te lo porterò."
Ovviamente, era tutta una bugia. Il gatto entrò in chiesa e andò dritto verso il barattolo di strutto, quindi, cominciò a leccarlo finché consumò tutto lo strato superiore. Dopodiché, salì sul tetto e si sdraiò al sole. Al tramonto tornò a casa.
"Com'è andata la giornata?" Chiese il topo.
"Non male", rispose il gatto.
"Che nome hanno dato al piccolo?" Chiese ancora il topo.
"Pellepappata", ribatté il gatto.
"Che nome strano!" Esclamò il topo.
Dopo qualche giorno, il gatto ebbe di nuovo voglia di lardo e chiese al topo di occuparsi della casa perché era stato nuovamente nominato padrino. Corse in chiesa, mangiò metà del contenuto del vasetto e quella notte stessa tornò a casa.
"Come lo hanno chiamato questa volta?" chiese il topo.
"Mezzopappato", disse il gatto.
"Che idea!" Esclamò il topo: "Non esiste un nome simile."
Al gatto venne di nuovo l'acquolina in bocca pensando allo strutto. Disse al topo che gli avevano chiesto nuovamente di fare da padrino e questa volta il nascituro era un gattino tutto nero e solo le zampe bianche. Durante l'assenza, invece, il furbone mangiò il resto del contenuto del vasetto.
Al suo ritorno, il gatto disse al topo: "Sono sicuro che non ti piacerà questo nome. Lo hanno chiamato Tuttopappato."
"Questo nome è ancora più strano. Non lo avevo mai sentito prima", rispose il topo.
Arrivò l'inverno e il cibo cominciò a scarseggiare. Il topo si ricordò della riserva di grasso.
"Andiamo a prendere il vasetto di strutto, adesso ci farà bene", disse al gatto.
Quando i due amici arrivarono al nascondiglio, il contenitore era vuoto.
"Adesso ho capito tutto", disse il topo: "Quando mi dicevi che andavi in chiesa per fare da padrino, in realtà , mangiavi le nostre provviste. Prima "Pellepappata", poi "Mezzopappato" e infine ... "
"Stai zitto!" Lo interruppe, urlando, il gatto. "Se continui ti mangerò!"
Non appena il povero topo terminò il suo sfogo, dicendo: "... Tuttopappato", il gatto lo inghiottì.
Già , così va il mondo!