Lettera del soldato alla famiglia: Carissimi mamma e papà, se state leggendo questa lettera è perché ho vissuto abbastanza per finire di scriverla.
Durante la lettura di un libro sulla Prima Guerra Mondiale, mi sono imbattuto in un curioso aneddoto che racconta di un soldato italiano il quale, dal fronte di guerra, inviò una lettera alla sua famiglia scrivendo parole di apprezzamento per il proprio comandante, il generale Armando Diaz (nella foto), eroe vittorioso nelle battaglie del Piave, del Grappa e di Vittorio Veneto, nel 1918.
Ora, si sa che il generale napoletano Armando Diaz fu chiamato a sostituire il generale piemontese Luigi Cadorna dopo la rovinosa sconfitta di quest'ultimo a Caporetto. Di Diaz si dice che egli rispettasse e facesse rispettare i suoi soldati, spesso controllando personalmente che oltre ai doveri, le truppe fruissero dei loro diritti, rincuorandoli nei momenti di paura e sconforto con parole di incoraggiamento.
Sul generale Cadorna, invece, gira voce che non sapeva cosa significasse rispettare chi aveva un grado inferiore al suo, l'unica cosa che contava per lui era la gerarchia, non l'uomo. I suoi soldati erano una specie di "esseri inferiori" soggetti a obbedire i suoi ordini, chi non gli ubbidiva, commetteva un crimine di guerra.
Tornando alla lettera prima accennata, il soldato scrisse che si trovava nel mezzo di una battaglia ma di non essere affatto preoccupato, perché sapeva che c'era il suo Comandante, come tutti, là fuori, in prima linea, che sarebbe immediatamente intervenuto in suo aiuto se avesse avuto bisogno di lui.
Insomma, quando ho finito di leggere questa storia, mi sono posto una domanda che forse tutti noi dovremmo prendere in considerazione: "Ho fatto in modo che le persone che mi vogliono bene, sostenendomi e incoraggiandomi, sappiano quanto io apprezzi tutto quello che hanno fatto per me?"
Magari, inviare un messaggio simile alla lettera di quel soldato in trincea nella Prima Guerra Mondiale, potrebbe essere un buon modo per farglielo sapere.
Gennaro Langella
Ora, si sa che il generale napoletano Armando Diaz fu chiamato a sostituire il generale piemontese Luigi Cadorna dopo la rovinosa sconfitta di quest'ultimo a Caporetto. Di Diaz si dice che egli rispettasse e facesse rispettare i suoi soldati, spesso controllando personalmente che oltre ai doveri, le truppe fruissero dei loro diritti, rincuorandoli nei momenti di paura e sconforto con parole di incoraggiamento.
Sul generale Cadorna, invece, gira voce che non sapeva cosa significasse rispettare chi aveva un grado inferiore al suo, l'unica cosa che contava per lui era la gerarchia, non l'uomo. I suoi soldati erano una specie di "esseri inferiori" soggetti a obbedire i suoi ordini, chi non gli ubbidiva, commetteva un crimine di guerra.
Tornando alla lettera prima accennata, il soldato scrisse che si trovava nel mezzo di una battaglia ma di non essere affatto preoccupato, perché sapeva che c'era il suo Comandante, come tutti, là fuori, in prima linea, che sarebbe immediatamente intervenuto in suo aiuto se avesse avuto bisogno di lui.
Insomma, quando ho finito di leggere questa storia, mi sono posto una domanda che forse tutti noi dovremmo prendere in considerazione: "Ho fatto in modo che le persone che mi vogliono bene, sostenendomi e incoraggiandomi, sappiano quanto io apprezzi tutto quello che hanno fatto per me?"
Magari, inviare un messaggio simile alla lettera di quel soldato in trincea nella Prima Guerra Mondiale, potrebbe essere un buon modo per farglielo sapere.
Gennaro Langella